Nostra Signora di Loreto presso San Fedele (1601 - 1801)

Servizio Archivio e Beni Culturali, ASP Golgi-Redaelli

 

Origine

Emblema del luogo pio di LoretoLa Congregazione di Nostra Signora di Loreto venne istituita ufficialmente l'8 dicembre 1601 per iniziativa del padre predicatore spagnolo Martín de Funes, all'epoca attivo presso la Compagnia di Gesù in San Fedele di Milano come direttore spirituale della Confraternita dell'Immacolata Concezione che, fondata nel 1584, si occupava di soccorrere i cosiddetti "poveri vergognosi". La nuova congregazione ne riprendeva le finalità assistenziali e venne posta "sotto la protezione della Beata Vergine di Loreto in memoria del gran mistero della Annunciazione nella Santa Casa" e in virtù della devozione lauretana propagandata dai gesuiti nonché del legame diretto dello stesso Martín de Funes con la cittadina marchigiana dove era stato ordinato sacerdote nel 1587.

Nel 1685 Carlo II estese alla congregazione i privilegi accordati agli altri luoghi pii, come quello importantissimo di poter agire come giudici ordinari contro i debitori morosi. Nuove prerogative si aggiunsero nei decenni successivi: esenzione dalla tassa dei "sussidi ecclesiastici" (1696), facoltà di adire eredità con beneficio d'inventario (1715), esonero dall'aggravio del "segno delle case".

Statuto

Degli statuti esistono due versioni a stampa, una del 1626 e l'altra del 1648.

Finalità

Sebbene la finalità precipua della congregazione fosse quella di assistere segretamente individui "che pe' loro natali e per le loro situazioni e qualità tuttoché posti in grande necessità [...] si vergognano di mendicare per la città per non essere pubblicamente conosciuti", il soccorso venne esteso ad altre categorie di bisognosi, come artigiani, carcerati, prostitute, poveri ricoverati all'Ospedale Maggiore.

Gli aiuti venivano normalmente corrisposti mediante l'erogazione di "mensuali elemosine" in denaro e in natura. A questo scopo la scuola sceglieva fra i propri iscritti ventiquattro "visitatori" incaricati di individuare i poveri vergognosi nell'ambito delle rispettive parrocchie di appartenenza, di raccogliere le relative fedi di povertà presso i parroci e comunicare le loro necessità alla congregazione, "senza però propalare i nomi". Al prefetto e ai consiglieri spettava invece stabilire l'entità del sussidio e incaricare il segretario di rilasciare "le bollette o li mandati direttivi al tesoriero, il quale prontamente li paga". Lo stato di necessità degli assistiti era sottoposto a verifica periodica, in considerazione del fatto che, "trovando esser cessato il loro bisogno […] si distribuisca quell'elemosina ad altri poveri".

Al mantenimento dell'attività elemosiniera partecipavano tutti gli iscritti, con "quell'elemosina che sogliono fare [...] dopo la congregatione". Considerato però che le somme così raccolte non bastavano "per provedere a tanti poveri, due volte l'anno, al principio dell'Advento et di Quaresima, il Prefetto deputarà duoi delli visitatori, che vadino dalli predicatori delle chiese più principali, à quali con ogni riverenza gl'esporranno l'impresa di questa Congregatione et con ogn'affetto li pregaranno vogliono caldamente raccomandare questa sant'opera in tali tempi et [...] nelle feste più principali al popolo per l'elemosina [...] di più si procurarà d'haver aiuto da Monsignor Illustrissimo Arcivescovo [e] dalli luoghi pii di Milano".

Struttura organizzativa

La struttura organizzativa della congregazione era assai articolata, comprendendo una quarantina di ufficiali con mandato annuale, eletti "il secondo dì della Pentecoste": un prefetto, quattro consiglieri, due sindaci, un tesoriere, un segretario, un provveditore, ventiquattro visitatori (quattro per ognuna delle sei porte principali della città), due maestri dei novizi, due infermieri e infine due sacrestani.

Al prefetto era riconosciuto "il primo luogo sopra tutti non solo nell'autorità et precedenza ma anco nella vigilanza e sollecitudine che questa sant'opera vada di bene in meglio aumentando a gloria di Dio et salute del prossimo". Subito dopo venivano i consiglieri, ai quali spettava il compito di coadiuvare il prefetto nell'adempimento delle sue mansioni "non solo con il sincero consiglio ma con l'opere ancora". I sindaci vigilavano invece sul rispetto degli statuti e, una volta al mese, verificavano i conti tenuti dal tesoriere. Quest'ultimo aveva l'obbligo di registrare in apposito libro entrate ed uscite "proibendoseli che non possa dare limosina né spendere cosa alcuna senza espresso ordine della Congregatione". Il segretario, che doveva essere preferibilmente un notaio, presenziava a tutte le riunioni e si occupava della tenuta di quattro distinti registri, "in uno dei quali annoterà tutti li nomi et cognomi de' fratelli ch'entraranno nella congregatione […] nel secondo scriverà tutti gli ordini et decreti che si faranno in detta congregatione […] nel terzo tutte le limosine che si distribuiranno a' poveri et tutte l'altre spese che si faranno pro tempore […] facendovi annotare dal tesoriero tutta l'entrata, di sua mano; nel quarto si scriveranno tutti li contratti autentici in pubblica forma de' quali lui si rogarà, appartinenti alla Congregatione"; a lui erano inoltre affidate le chiavi dell'archivio e il sigillo "col quale si sigillarà tutte le patenti, mandati et lettere della Congregatione". Il provveditore redigeva l'inventario dei beni mobili della congregazione di cui aveva anche la responsabilità ed agiva in qualità di delegato e rappresentante del sodalizio "senza fargliene altra procura per via di notaro pubblico". Ai ventiquattro visitatori, oltre il compito già ricordato di accertare lo stato d'indigenza degli individui da soccorrere, spettava pure quello di promuovere la causa della confraternita presso "persone pie et facoltose". I "maestri de' novitii" svolgevano il delicato incarico di "prender secreta et diligente informatione della vita et qualità" sugli individui che aspiravano ad essere ammessi alla scuola e poi istruirli "nell'opere pie della nostra congregatione". Gli infermieri si occupavano di assistere "non solo li fratelli nostri infermi ma anco gli altri poveri vergognosi […] et essendo talmente poveri che li convenga andare all'hospitale li procurino le fedi bisognevoli per tale andata, et non andando all'hospitale s'adoperaranno in modo che li sia provisto di medici et medicine […] di Santa Corona". Ai sacrestani spettava, infine, la "cura della cappella nostra et del luogo dove si faranno le congregationi" e l'incombenza di ricordare ogni prima domenica del mese "se alcun de' fratelli sarà morto il mese passato accioché li fratelli preghino per quell'anima et satisfaccino all'obligo della carità".

Alle congregazioni partecipava anche un "padre sprituale", designato dalla Compagnia di Gesù, con il compito di "sermoneggiare, riprendere i difetti de' fratelli secondo che in loro vedrà negligenza o tepidezza essortandogli all'opere cristiane, alla frequenza de' santissimi sacramenti et all'osservanza de' statuti".

Sede

Originariamente la Congregazione di Nostra Signora di Loreto ebbe sede presso la casa gesuita di San Fedele: ma il progressivo aumento delle risorse e dei possedimenti di ragione del consorzio originarono tensioni nei rapporti con la comunità ignaziana, già a pochi anni dall'istituzione del sodalizio. Le costituzioni dei Gesuiti imponevano infatti l'obbligo della povertà e le loro confraternite non potevano adire beni ed eredità, una condizione in netto contrasto con le disponibilità patrimoniali del Loreto. Pertanto, quando il pontefice Clemente VII dispose la sottomissione delle confraternite laicali e dei loro beni all'autorità dei vescovi (bolla 7 dicembre 1604), i Gesuiti, temendo di perdere la propria autonomia nei confronti dell'autorità arcivescovile, indussero la Congregazione di Loreto a trasferire la propria sede. Questa venne allora spostata in uno stabile antistante la chiesa di San Fedele, comprato con i denari donati da Francesco Dannaja, collaboratore del governatore di Milano, Pedro Enriquez de Açevedo conte di Fuentes. I confratelli continuarono però ad avvalersi dell'assistenza spirituale dei padri gesuiti, senza cessare di resistere ai tentativi d'ingerenza della curia arcivescovile in nome del suo carattere laico "non soggetto all'Ordinario in cosa alcuna".

Pianta della sede del luogo pio di Loreto, 1753Dopo il 1723 la Congregazione trasferì nuovamente la sede, fissandola in un altro fabbricato in parrocchia di Santo Stefano in Nosiggia, con la facciata orientata verso la piazza di San Fedele.

Patrimonio

La congregazione era peraltro riuscita ad accumulare un rilevante patrimonio in beni mobili ed immobili, proveniente in larga misura da donazioni e lasciti testamentari disposti da munifici benefattori, che alla data del 1767 ammontava ad un valore di oltre 3.500.000 lire imperiali.

Dai dati di bilancio del 1784 risultano entrate pari a 188.563 lire e uscite per 181.504 lire, di cui 103.407 lire per elemosine e doti. A quel momento le proprietà fondiarie si estendevano per oltre 12.300 pertiche (oltre 800 ettari).

Soppressione

Il Luogo Pio di Loreto sopravvisse, insieme alle Quattro Marie, alla Misericordia, alla Carità in Porta Nuova e alla Divinità, all'ondata di soppressioni realizzate nel 1784 dalle riforme giuseppine e gli vennero aggregati tre enti minori: Ricchi e Vecchi in San Giovanni sul Muro, Umiltà e Pagnottella. Dovette tuttavia lasciare la propria casa di residenza in Porta Nuova e trasferirsi nella sede comune in contrada dei Tre Monasteri.

Per effetto del Decreto del Comitato di Governo del 13 agosto 1801, il Luogo Pio di loreto venne concentrato altri quattro luoghi pii elemosinieri sopravvissuti alle soppressioni giuseppine: si costituì quindi un solo ente, denominato Luoghi Pii Elemosinieri, gestito da un Capitolo Centrale composto da sette amministratori che ebbero in affido la gestione patrimoniale, mentre l'erogazione rimase attribuita al Direttorio Elemosiniere.

 

[nelle immagini: Emblema del luogo pio di Loreto; Pianta della sede del luogo pio di Loreto, 1753]